Le regole dell’Unione europea sono parecchio stravaganti. Lo comprendiamo se proviamo a riferirle all’Italia. Dove c’è scritto Unione, leggiamo Italia; dove Stati membri, Regioni o Province autonome. Berlusconi, il PDL e la Lega, che sono in grande maggioranza in Parlamento, non potrebbero formare il Governo! I ministri nel numero di ventuno, estranei al Parlamento e destinati a restare in carica per l’intera legislatura, sarebbero designati uno a testa dai presidenti delle Regioni che appartengono, nella maggior parte, alle minoranze sconfitte.
I ventuno ministri di designazione regionale determinerebbero il quantum delle risorse annualmente spendibili in ciascuna regione, compresa la Lombardia. Parliamo della Lombardia perché è la regione italiana più popolosa e ricca. Se non ottemperasse alla disciplina sarebbe sanzionata. Le regole della Lombardia sarebbero più rigide di quelle della maggioranza delle altre regioni. Pur tuttavia anche i ministri delle regioni che si avvalgono di normazioni più flessibili concorrerebbero ad impartirle istruzioni, con relative sanzioni. Per la formazione del Governo nazionale il voto dei lombardi varrebbe circa ottanta volte meno di quello dei valdostani, trenta volte meno di quello dei molisani, metà circa di quello dei siciliani e pugliesi, un quinto di quello dei calabresi e così via. Irrazionali differenze tra i cittadini delle varie regioni vi sarebbero anche nel voto per l’elezione del Parlamento e per la formazione del Consiglio. Sarà vero che queste stravaganze si verificano in Europa? Come è possibile che nessuno se ne sia accorto? Ne sortirebbe un Governo non democratico ed in violazione del principio della parità (articoli 1 e 11).
Il Trattato di Lisbona è scritto in modo farraginoso, spesso non chiaro. La Commissione dispone di poteri formali più numerosi e pervasivi di quelli del Parlamento e del Consiglio. In settori chiave, basti citare il mercato comune e le situazioni di disavanzo eccessivo, esercita un potere assoluto, assommando le competenze normativa, esecutiva, sanzionatoria.
Con una analisi puntuale e completa della distribuzione dei poteri si riesce a scoprire quello che il Trattato non dice o non fa capire. Il lettore se ne può rendere conto seguendo il filo del discorso.
Le ragioni che si oppongono alla ratifica di Lisbona, che si propone come Trattato definitivo, non si estendono ai trattati antecedenti. La Commissione va ricondotta a principi di democraticità e di maggiore rispondenza alla parità sostanziale.
Le deroghe erano ammissibili finché si trattava di assetti transitori. E’ giunto il momento di pensare alla forma che dovrà assumere l’Europa a conclusione del faticoso e glorioso processo di unificazione. La ratifica di Lisbona è l’ultima occasione per farlo!
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